martedì 29 maggio 2018

Arena- Double Vision

Ventitre anni di storia musicale e nono album in studio per gli Arena, storico gruppo inglese  sempre un po'sottovalutato dal mercato tradizionale e relegato nel combo delle band di nicchia..Figliocci dei Marillion (il batterista Mick Pointer è stato il membro fondatore) e  alfieri del  "neo prog"  genere che negli ultimi anni  ha strizzato l'occhio anche a sonorità più hard rock se non addirittura metal. E di anni ne sono passati venti dalla pubblicazione dell'album "The Visitor" che ancora oggi rimane il  punto più alto della loro carriera. Per celebrare questo importante anniversario, la band ha deciso di intraprendere un tour celebrativo dove eseguiranno per intero il disco e ovviamente presentare la loro opera omnia intitolata "Double Vision". Andiamo ad esplorare così l'album che si suddivide in sette tracce, tra cui spicca subito data la sua durata, la suite conclusiva " The Legend Of Elijah Shade" un brano di quasi 23 minuti dove Nolan e compagni cercano di ricreare e ritornare a certe sonorità di inizi carriera. Il tentativo però rimane tale, infatti il pezzo sembra più un assemblato di diverse sezioni tipicamente prog ,ma che poco si amalgano fra loro risultando piuttosto prevedibili. Non va meglio con il resto del disco, l'opener "Zhivago Wolf" nonostante una oscura e granitica chitarra di sottofondo  non aggiunge nulla più a quanto già scritto e prodotto in un blasonato ma non remoto passato. Si alza il livello con la successiva "Mirror Lies".la sua intro alla "Tool " l'atmosfera tipicamente dark del combo inglese, colloca il brano sicuramente come il momento clou dell'album. Si prosegue con"Scars" anche quest'ultima di buona fattura, arricchita finalmente con un pregevole assolo di chitarra.Infatti un altro punto debole del disco è appunto l'assenza quasi totale della chitarra solista,errore già constatato nell'album "The Seventh degree Of  Separation" (2011) e in parte recuperato in "The Unquiet Sky"(2015). Relegare alla sola ritmica un chitarrista del calibro di John Mitchell è veramente un peccato ed incide molto sul risultato finale dell'opera."Paradise Of Thieves" e" Red Eyes" scorrono così senza particolari sussulti mentre la ballad acustica" Poisoned" ci regala un Manzi particolarmente ispirato anche se alcune perplessità emergono a volte nel suo modo di cantare, una questione annosa che fa discutere soprattutto lo zoccolo duro dei fan degli Arena. Alla fine rimane un po' di amaro in bocca l'album è sicuramente ben suonato e arrangiato, ma da l'impressione di essere un disco scritto in fretta,con poche idee e affetto  sindrome da"compitino".
Una difetto questo che riguarda l'ultima produzione della band. Da cinque ottimi e navigati musicisti ci si aspetta sicuramente di più,specie per quanto riguarda la mente del gruppo Clive Nolan, Il tastierista negli ultimi anni si è dedicato anima e corpo alla composizione di musical e quello che si sperava magari all'inizio fosse una nuova fonte di ispirazione, lo ha forse allontanato dallo spirito iniziale del "prog" cioè appunto l'espandersi musicalmente.